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CARRIERE Jean Claude – ECO Umberto, Non sperate di liberarvi dei libri, a cura di Jean-Philippe de Tonnac, Milano: Bompiani, 2009; pp. 271; cm. 20,7; € 18,00; ISBN 978-88-452-6215-9.

Si tratta di un dibattito copertina carrier ecomoderato da De Tonnac il quale presenta così i due insigni autori: “La loro esperienza di bibliofili, collezionisti di libri antichi e rari, cercatori e cacciatori di incunaboli, li porta a considerare il libro come la ruota, una sorta di perfezione insuperabile nella nostra immaginazione, una sorta di ruota del sapere e dell’immaginario che le rivoluzioni tecnologiche annunciate o temute non elimineranno”.
Siamo alla domanda che ormai si fanno tutti: il libro è destinato a sparire? sopraffatto dal digitale e sostituito dal nuovo modello: l’e-book? I due collezionisti hanno una prima, istintiva risposta. Oggi le cose che la tecnologia rende fuori moda, provocano in taluni la tendenza a raccoglierle e a proteggerle; una tendenza indispensabile in tante situazioni cruente del passato, purtroppo tuttora possibili. Nei secoli, singoli appassionati, governanti illuminati, monaci eruditi, oscuri librai e altri, hanno svolto un ruolo determinante nel salvataggio di biblioteche pubbliche e private dalle minacce di distruzione, da una ricorrente barbarie che ha trovato nell’incendio il suo terribile simbolo. Naturalmente, precisa Eco, “operando la scelta di salvare certi libri e non altri, si è iniziato a fare opera di filtraggio”. D’altronde, la memoria collettiva, come quella individuale, non deve astenersi dal selezionare. Con la memoria incontrollabile di Internet (Eco:) “che ti dà tutto e ti condanna a filtrare non più con la mediazione della cultura ma di testa tua, corriamo il rischio di disporre ormai di sei miliardi di enciclopedie. Cosa che impedirà qualsiasi tipo di comprensione. Eravamo convinti che con la globalizzazione tutti avrebbero pensato allo stesso modo: abbiamo il risultato opposto, la frammentazione del sapere comune”. Il rapporto sapere digitale / sapere cartaceo rimanda al dilemma velocità/lentezza. Eco: “Le mode che un tempo duravano trent’anni oggi durano trenta giorni. C’è anche il problema dell’obsolescenza degli oggetti. Non è un problema di memoria collettiva che va perduta. Si tratta piuttosto di un problema di labilità del presente. Non viviamo più un presente placido ma siamo sempre sotto sforzo nel prepararci al futuro”.
Mentre l’opera (il contenuto) può essere ormai resa disponibile su vari supporti e soprattutto gestita virtualmente (si pensi alle infinite potenzialità ipertestuali), l’oggetto-libro rimane un mondo a parte, da millenni fedele a se stesso, cioè alla scrittura materiale, e insieme capace di mutar forma. La nostra idea di oggetto-libro arriva dal Seicento, con la consacrata importanza del frontespizio e con la ridondante attenzione alla rilegatura. La quale rilegatura rimane l’elemento che individua il libro come manufatto “aldilà” dell’opera che contiene, a differenza della sopraccoperta che enfatizza la comunicazione commerciale e quindi privilegia il contenuto. I rotoli dell’antichità erano già “libri” ma presupponevano comportamenti diversi; erano scomodi e si leggevano a voce alta. I codices avviano la lettura silenziosa e individuale. La rilegatura, nata per essere un affettuoso involucro delle pagine, consente una (delicata) manipolazione del libro, favorisce un rapporto durevole. Dopo l’invenzione della stampa, i librai vendettero fascicoli sparsi che toccava al compratore, eventualmente, rilegare; è con il Seicento che la rilegatura diventa propedeutica alla vendita. E’ ovvio che il rotolo e in generale il manoscritto costituivano dei pezzi unici; le biblioteche medievali potevano considerarsi prestigiose anche se ospitavano poche centinaia di documenti. La riproducibilità illimitata introdotta dalla stampa rivoluzionò questi valori e portò un desiderio di personalizzazione delle copie. Eco: “La varietà delle rilegature delle opere che collezioniamo è una delle ragioni che spiegano la felicità che possiamo trarre dalla bibliofilia. La rilegatura può fare una differenza significativa fra due esemplari dello stesso libro, sia per l’amatore che per l’antiquario”.
Ma oggi l’immaterialità incombe. Ciascuno può “farsi” un libro, diventare editore e, ancora più facilmente, distribuire il proprio testo lanciandolo nell’universo della rete, senza censure ma anche senza filtri critici, in qualche modo oggettivi. E’ pur vero che da sempre gli editori professionali possono decidere di pubblicare scempiaggini e di rifiutare capolavori, ma queste opportunità della tecnologia non possono non preoccupare. Eco: “Possiamo insistere sui progressi della cultura, che sono manifesti e che toccano categorie sociali che prima ne erano escluse. Ma contemporaneamente, c’è sempre più imbecillità. Non è che, perché stavano zitti, i contadini di un tempo fossero scemi. Essere colti non significa necessariamente essere intelligenti. No. Ma oggi tutte queste persone vogliono farsi sentire e fatalmente, in alcuni casi, ci fanno sentire solo la loro imbecillità. Quindi possiamo dire che l’imbecillità di un tempo non si esponeva, non si faceva riconoscere, mentre adesso offende le nostre giornate”.
La pericolosità dell’ignoranza non sta nel non sapere ma nel non voler sapere. Raccogliere libri, anche solo come gesto, è una consapevolezza di ciò. Carriére conclude: “Una biblioteca non è per forza formata da libri che abbiamo letto o che leggeremo un giorno. Una biblioteca raccoglie libri che possiamo leggere. O che potremmo leggere”. E Eco chiosa: “La biblioteca è la garanzia di un sapere”.